Intervista a Francesco Giorda: una vita per lo spettacolo e il dialogo

Francesco Giorda, una vita per lo spettacolo e la voglia di dialogare con le persone

Intervista di Valter Musso – “Beata conoscenza”: un modo di parlare di cose importanti, HIV e AIDS, in maniera divertente

Da cinque anni, in modo ininterrotto, varca i portoni delle scuole di secondo grado della Città Metropolitana di Torino per parlare di AIDS e malattie sessualmente trasmissibili. Lui è Francesco Giorda, attore che, con l’Associazione Giobbe, porta avanti un programma di sensibilizzazione per i giovani su una tematica purtroppo trascurata e che invece li tocca da vicino. Lo fa con lo spettacolo teatrale “Beata conoscenza”, studiato insieme a Giuliano De Santis, presidente dell’Associazione, virologo e medico di base. Un evento dove scienza e drammaturgia teatrale si incontrano. Il linguaggio è diretto, ironico e coinvolgente, pensato per le giovani generazioni, ma che funziona anche con un pubblico più maturo.

L’esperienza portata avanti con i ragazzi, con l’aiuto della Compagnia di San Paolo e l’interessamento di presidi e professori, «è stata molto positiva e anche costruttiva – ci dice con soddisfazione Francesco Giorda – e ha coinvolto circa 13000 ragazzi tra i 14 e 19 anni». L’intento è quello di trasmettere al pubblico gli strumenti e la conoscenza per affrontare eventuali situazioni critiche o a rischio, oltre a dare le informazioni corrette e i riferimenti a cui rivolgersi in caso di dubbi e necessità. Sul palco affronta i temi dei facili allarmismi mediatici di oggi passando per la storia del virus HIV e dell’AIDS negli ultimi 30 anni.

«Sono entrato in aula magna pensando come ingannare il tempo perché ero convinto di trovarmi di fronte a un ennesimo predicozzo palloso e invece sono stato conquistato subito dalla capacità di coinvolgimento di Francesco e dal linguaggio usato: se si insegnasse italiano o storia così sarebbe bello», queste le parole di uno studente dell’Istituto di Istruzione Superiore “Giuseppe Peano” dopo aver visto Beata conoscenza.

Ma chi è Francesco Giorda, vero mattatore degli incontri?
«Ho iniziato a 18 anni come artista di strada, quindi ho passato 10, 12 anni a fare spettacoli di piazza lavorando come giocoliere e improvvisatore, andando in giro per l’Italia e l’Europa. Tornavo, spesso, a Torino, la mia città. Una sera, con degli amici, abbiamo ideato il Teatro della Caduta: trasformando una vecchia bottega di quartiere in uno fra i più piccoli teatri d’Italia. Questa iniziativa è andata avanti, con successo, per 15 anni. Nel frattempo coltivavo altre esperienze come attore in giro per teatri, comico e conduttore. Inoltre ho trasferito le capacità maturate nei miei anni di teatro nell’ambito della formazione aziendale, e soprattutto nelle scuole. In sintesi, amo fare l’attore e avere il contatto con le persone: sono loro che mi danno la forza e lo stimolo».

Veniamo a “Beata Conoscenza”.
«Lo spettacolo nasce con casa Giobbe, e dall’esigenza di portare le tematiche legate alle malattie sessualmente trasmissibili fuori dagli ambienti circoscritti e creare una nuova sensibilità e consapevolezza che investisse i giovani, senza allarmarli, fornendo loro conoscenza e informazioni, anche semplici, come l’esistenza dei consultori, di cui spesso non sono a conoscenza. Lo si fa divertendosi e in modo discorsivo, senza per questo banalizzare le cose. Il testo è scritto insieme al dottor Giuliano de Santis, lui ha messo la base scientifica e io ho messo la parte narrativa».

Giorda

E i ragazzi come reagiscono?
«Coi giovani si costruisce un bel rapporto. Non si immaginano che si entri in una scuola con uno spettacolo per parlare di sessualità. Per loro è una novità, perché si aspettano una conferenza sull’educazione e la prevenzione delle malattie e invece si parla di loro, si parla con loro, nasce un rapporto diretto che crea un clima di fiducia. E ci si diverte».

Anche il linguaggio è importante?
«Si, molto, come il ritmo che si tiene durante tutto lo spettacolo. Di sicuro il fatto interessante è che ridono molto di temi seri. Ridere con loro di tematiche che normalmente, nell’idea più convenzionale, devono essere trattate con una certa serietà, rompe gli schemi e aiuta a veicolare il messaggio. Riflettono su quanto sentono. Per creare un ambiente subito rilassato, per rompere il ghiaccio faccio vedere delle interviste che ho fatto ai passanti dove, con dei giochi di parola, chiedo ad esempio ‘Cosa si dovrebbe fare per diffondere l’AIDS?’. Le risposte dei passanti a queste provocazioni li spiazzano. Il linguaggio può essere utilizzato per smuovere anche i pregiudizi più forti o le resistenze all’ascolto e parlare di qualunque cosa. Il linguaggio di questo spettacolo non è propriamente teatrale, ma è comunicativo e interattivo, entro a gamba tesa sugli argomenti e, in questi casi, funziona molto. È quello che mi porto dal teatro di strada che, prima di tutto, è coinvolgimento».

Ma ha ancora senso, oggi, parlare di HIV-AIDS?
«Secondo me sì e anche molto perché esiste, non è debellato, anche se i contagi, specialmente In Italia, non sono più un’emergenza, ma colpiscono la popolazione in maniera trasversale, e veicolano una malattia che tuttora non è curabile, ma attenuabile. Parlando, però, di HIV e di AIDS si affrontano altre tematiche collegate: è un punto di partenza per introdurre il tema della prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili».

Perché allora non se ne parla più?
«Per varie ragioni. Il sistema sanitario pubblico vive nel suo complesso una situazione molto difficile. E poi perché è una di quelle malattie che non creano più preoccupazioni e vi è la convinzione diffusa che, se ti infetti, con una pastiglia guarisci. Purtroppo non è così. Per questo credo sia importante lo spettacolo, per sdoganare un tema sempre attuale, ma di cui non si parla o che è relegato in ambiti eccessivamente ristretti».

Se è vero che i passi fatti dalla scienza, in questo settore, sono stati importanti, è anche vero che per poter condurre una vita normale è necessario diagnosticare l’HIV per tempo, allora è necessario far prevenzione. Per far questo è necessario conoscere. L’Associazione Giobbe investe molte risorse nel diffondere la cultura della prevenzione a partire dai giovani.
«Nello spettacolo introduco il concetto di paura con degli esempi che spiazzano come ‘la spugna dei piatti della nostra cucina contiene miliardi di batteri che si riproducono in continuo, andrebbe cambiata ogni settimana ma noi la usiamo fino allo sfinimento’ oquante volte prendendo un aereo ci siamo detti speriamo non cada, l’automobile è più pericolosa ma quando ci saliamo non diciamo speriamo di arrivare sani e salvi’. La paura ogni tanto ci fa dimenticare la realtà o non ci fa capire o non ci fa avere un rapporto sensato con le cose che ci spaventano. Questa sensazione, il comportamento non controllato aumenta se non si conosce qualcosa, o lo si conosce per sentito dire. E ai giovani succede spesso. Con ‘Beata conoscenza’ cerchiamo di superare quest’idea. Il tema della conoscenza come strumento per non aver paura e poter vivere la sessualità in una maniera più consapevole e attenta».

Dall’incontro con i ragazzi cosa ti dà più soddisfazione?

«Molte sono le situazioni che spingono ad andare avanti su questa strada, per me ogni incontro è un momento di crescita personale. Ti porto un aneddoto: quando inizio, i primi quattro-cinque minuti vedo tante teste abbassate sui cellulari a giocare. Allora parto con qualche storia comica sui telefoni. E soprattutto cominciò a occuparmi di chi parte con l’idea di non ascoltarmi. Quello che succede è che a fine spettacolo molti ragazzi vengono a ringraziarmi e la cosa che li ha colpiti di più è il fatto di aver lasciato il telefono e di aver seguito lo spettacolo. Molti mi dicono “Guardi, siamo stati un’ora e mezza senza telefono perché ci siamo divertiti. Ci interessava e quindi lo abbiamo messo via noi di nostra spontanea volontà”».

E con il pubblico adulto lo spettacolo potrebbe funzionare?
«Si, ogni tanto lo proponiamo a teatro. Lo inseriamo anche nel cartellone del Teatro della Caduta. L’ideale sarebbe avere insieme genitori e figli adolescenti. Condividere l’esperienza dello spettacolo tra genitori e figli sarebbe utile a entrambi: un bel ripassino da parte degli adulti non sarebbe niente male».

L’album delle istantanee di Francesco Giorda legate alla sua vita di attore e di esperienze maturate in questi anni con “Beata conoscenza” e l’Associazione Giobbe sarebbe infinito e la voglia di raccontare non gli manca:
«Ma ci tengo a sottolineare il messaggio principale dello spettacolo: con leggerezza e ironia si può parlare anche di argomenti seri».

Per i professori e i presidi interessati ad avere lo spettacolo nel proprio istituto, e per maggiori informazioni su “Beata conoscenza”, si può scrivere a [email protected], o telefonare al 3392434768.